Ora che la sua vita si è trasformata in una favola bella, Mariah Carey può anche ridere di quei giorni. E soprattutto di quelle sere quando, stravolta da otto ore di servizio ai tavoli del ristorante, riusciva a concedersi solo qualche attimo di relax: “A quel punto, poco dopo mezzanotte, il barista accendeva la televisione, canale MTV: io guardavo tutti i videoclip ed entravo in depressione. Debbie Gibson poi mi faceva diventare verde d'invidia: io ero lì con i piedi gonfi e distrutta per raccattare qualche mancia e lei girava costosi videoclip. Proprio non lo accettavo.”
Mariah Carey ora ride di quel periodo. E se lo può permettere, perché questa minuscola donna (con i tacchi sfiora appena i 160 centimetri) dalla immensa voce è stata una delle rivelazioni musicali dello scorso anno: il suo omonimo album d'esordio e la canzone “Vision of love” sono stati a lungo in testa alle classifiche americane, attirando di conseguenza l'attenzione degli appassionati di tutto il mondo. E il successo ha cancellato la disperazione delle serate da cameriera: davvero poco esaltanti per una ragazza che sognava di essere protagonista e non semplice comparsa sotto la luce dei riflettori.
Poi il sogno è diventato realtà, proprio come vuole la più romantica e forse banale (ma sempre valida) tradizione americana. La Carey è ora un nome sul quale molti osservatori puntano per gli anni '90. E, inevitabilmente, non sono mancati confronti scomodi, i paragoni imbarazzanti: il primo è stato quello con Whitney Houston, alla quale la Carey si avvicina per quel timbro vocale decisamente nero, che nella gazzella Whitney è del tutto naturale, ma che nel passerotto Mariah è un miracolo assoluto.
In effetti Mariah Carey è il risultato finale di alchimie strane, di passioni artistiche a volte contraddittorie. Lei bianca, newyorkese, figlia di una cantante d'opera, e oggi l'interprete soul delle nuove generazioni: dichiara senza paura di essersi ispirata a voci black come Aretha Franklin e Stevie Wonder, compone canzoni che vengono trasmesse dalle radio specializzate in soul e gospel, non ha paura di presentarsi al pubblico con un repertorio tutto da ascoltare e poco da ballare (come invece vorrebbero le più attuali regole di marketing).
“Sono molto contenta quando il mio nome viene accostato a quello della Houston, lei è una grandissima cantante,” confida Mariah con un soffio di quella sua voce da brivido. Ha imparato bene la parte e forse un po' anche ci crede in quello che dice; ma l'esperienza spiega anche che un paio di anni la, quando la piccola ragazzina ancora non era l'usignolo di oggi, Mariah si era rifiutata di seguire il consiglio di chi voleva spedire — per “audizione” — le sue canzoni proprio a Whitney Houston. Ricorda ora: “È l'interprete ideale per quello che scrivi, mi dicevano, e la tentazione è stata forte. Però ho resistito: ho sempre pensato a me come a una cantante. Prima di prestare le mie canzoni ad altri dovevo provare a cantarle io. Era un obbligo che avevo preso con me stessa alcuni anni fa.”
Cresciuta dalla madre dopo il divorzio dei genitori (lei aveva tre anni), Mariah ha sempre vissuto nella musica. Dopo una discreta carriera come cantante lirica, la madre si è dedicata all'insegnamento del bel canto e per casa non sono mai mancati musicisti, aspiranti artisti e giradischi accesi: “Mia madre non mi forzava più di tanto in questa direzione. Crescendo, mi rendevo conto che la musica era il mio elemento naturale. Ricordo che, durante le prove delle opere. mia mamma mi portava spesso con sé e io rimanevo affascinata dai costumi e dal clima di quei pomeriggi: mi faceva sedere in platea e io stavo lì con gli occhi sgranati per non perdere nemmeno un particolare.”
A dieci anni i fratelli maggiori le fanno ascoltare i dischi di Aretha Franklin, Glady Knight, Jimi Hendrix, Billie Holiday e Stevie Wonder. Scopre così che la musica non è solo Verdi o Puccini: da quel momento la sua strada è segnata.
“Le cose a scuola non andavano più tanto bene. Non riuscivo a concentrarmi, pensavo solo a cantare e ad avere successo. Ottenere il diploma alla fine è stata una sofferenza grandissima, ma, superato quel traguardo, ho potuto fare finalmente di testa mia.”
Con una massa di simpatici capelli arricciati e una figurina piccola e sexy, Mariah Carey decide di puntare tutto su se stessa e sulla propria ispirazione artistica. Trova una casa per conto proprio e un lavoro come cameriera per pagare l'affitto: ha 17 anni e una gran voglia di attirare l'attenzione del mondo. E, giorno dopo giorno, lavorando un po' di lima e un po' d'ariete, la piccola Mariah finalmente si fa conoscere nel circuito dei musicisti di New York. Presta la sua splendida voce come corista di Brenda Starr, della quale diventa molto amica; incontra Ben Margulies, con il quale compone le sue prime vere canzoni; e realizza un nastro semi-professionale.
A questo punto non manca nemmeno il classico tocco di casualità e di fortuna nella favola bella di Mariah Carey. Una sera lei e Brenda Starr si recano a un party per la nascita di una nuova casa discografica a New York. Al party è presente anche Tony Mottola, boss della Columbia Records, al quale Brenda Starr consegna il nastro della Carey, limitandosi a precisare: “E una mia amica. Ascolta e fammi sapere.” Tornando a casa dalla festa, Mottola ascolta il nastro in auto e dopo solo due canzoni compie un'inversione di marcia da ritiro immediato della patente e ritorna al party. Brenda e Mariah però sono già andate via e Mottola non vuole aspettare il giorno dopo: butta giù dal letto il manager di Brenda, si fa dare il suo numero di telefono e tramite lei arriva finalmente a Mariah.
“Quando mi ha telefonato ho creduto che si trattasse di uno scherzo. Solo quando Brenda mi ha confermato tutto, ho capito che qualcosa si stava muovendo,” sorride ora Mariah, ricordando quella fantastica notte.
Il resto è storia recentissima: un paio di mesi di studio di registrazione per preparare un album semplice e affascinante nel quale la sua voce è la protagonista assoluta. “Volevo che le canzoni arrivassero al pubblico proprio come erano nate nel mio cuore. Per questo motivo ho preferito arrangiamenti semplici, puliti, volutamente poveri.”
Tutto è stato fatto con grande cura dei particolari. Nella primavera del '90, prima della pubblicazione del disco, Mariah Carey ha effettuato una tournée promozionale in tutto il mondo (è arrivata anche in Italia), esibendosi in piccoli concerti di fronte agli addetti ai lavori e dimostrando di essere una cantante vera e non un bel gioiellino dall'ugola plastificata.
Poi il grande successo. L'album ha superato i tre milioni di copie vendute in tutto il mondo, pur essendo un prodotto fin troppo raffinato. Oggi, a neanche 21 anni, è una bella realtà attesa a nuove prove, ha dimostrato di avere una bella voce e una bella testa dura, ma sa anche che il difficile arriva ora: “Sì, me lo dicono tutti che mantenere il successo è più difficile di conquistarlo. Però non ho paura: cantare è la mia vita e il mio divertimento, ora è anche la mia professione. Che cosa posso volere di più?”
Sicura nella voce e determinata nel carattere, Mariah Carey ha intenzione di dedicarsi solo alla canzone e proclama porte chiuse all'amore. Si sa però di una sua relazione con un manager discografico: lei non smentisce, ma non conferma. Preferisce sorvolare con eleganza, proprio come la abitualmente con le note alte delle sue canzoni. Piccolo diamante ancora un po' grezzo, sfacciata nei suoi abitini aderenti, ma sempre timida cerbiatta di fronte a molti fatti della vita. la Carey ha fatto il primo passo verso il successo e ora si prepara alla conferma con la più forte arma in suo possesso: la voce.